Die 50+1 Regel

Prima di parlare di azionariato popolare nel contesto italiano occorre capire come è stato implementato in altri paesi, così da capire perché in molti, dalle nostre parti, ritengono improponibile l’importazione di questo modello di gestione, a meno di apportarvi adattamenti sostanziali.

Cominciamo il nostro viaggio dalla Germania, dove l’azionariato popolare si concretizza nella cosiddetta regola del 50%+1, che impone ai club di limitare la presenza di investitori privati con diritto di voto.
In pratica la regola afferma il principio secondo cui un investitore privato può acquistare al massimo il 50%-1 delle azioni di una società, mentre almeno il 50%+1 deve essere in mano a soggetti riconducibili a società no profit, sebbene esistano numerose eccezioni di cui parleremo fra poco.

La “50+1 Regel” è una tradizione del calcio tedesco, da sempre caratterizzato da una grande partecipazione popolare. Le comunità locali, infatti, si sono sempre opposte con forza alla tendenza dominante fra le società di tutto il mondo di trasformare i tifosi in clienti.
Per i tedeschi i club sono espressione del territorio e devono rendere conto delle proprie scelte strategiche a chi ne fa parte.
Di più: devono permettere democraticamente ai tifosi di indirizzare la gestione della squadra.

50 per cento +1
L’origine della regola del 50%+1 risale al diciannovesimo secolo, quando la classe media cominciò a fondare club per organizzare le attività borghesi.
Nacquero così club di lettura, di vela, di ginnastica, e anche club di calcio. Si trattava di associazioni democratiche gestite dei membri e che venivano inserite nei registri ufficiali, rendendoli ufficialmente registrati – o “eingetragene Vereine“, abbreviato in “e. V. “, lettere che compaiono nelle denominazioni ufficiali della maggior parte delle squadre di calcio tedesche.
Una organizzazione non troppo diversa da quella dei club italiani prima dell’avvento delle società per azioni, che fecero irruzione nel nostro paese alla fine degli anni sessanta.

Nel calcio tedesco le società di calcio sono rimaste organizzazioni no profit controllate dai membri votanti fino al 1998, quando la Lega modificò le sue norme per consentire alle società di esternalizzare le proprie attività calcistiche professionali in società a responsabilità limitata. In questo modo le società potevano aprire ad investimenti privati, ma solo ​​a condizione che il club originario, “e.V.”, trattenesse il 50% delle azioni con diritto di voto nella società, più un’azione.

In questo senso in Germania i tifosi detengono (quasi) sempre la maggioranza dei diritti di voto impedendo ad entità esterne di acquisire una partecipazione di maggioranza, cosa che invece avviene sempre in Italia e in gran parte del resto dell’universo calcistico.

Il Bayern Monaco, ad esempio, ha ceduto l’8,33% delle quote della “Bayern Munich AG” (una società per azioni) rispettivamente ad Audi, Allianz e Adidas, ma il restante 75% appartiene alla “Bayern Munich e. V.” e ai suoi membri.

Non mancano le eccezioni, la maggior parte autorizzate.
Il Wolfsburg e il Bayern Leverkusen, tradizionalmente “club aziendali” perché da sempre di proprietà, rispettivamente, dei giganti farmaceutici della Bayer e dalla casa automobilistica Volkswagen, sono ad esempio esentati dalla regola del 50%+1.
Dal 2015 anche l’Hoffenheim ha ottenuto la deroga. Il proprietario del Club, Dietmar Hopp, è anche fondatore e proprietario della società di software SAP che lo ha reso ricco. Grazie ai suoi investimenti  l’Hoffenheim ha scalato, fra il 1990 e il 2018, la gerarchia del calcio tedesco fino ad arrivare ai vertici della Bundesliga.
Insomma, anche l’Hoffenheim è a suo modo un club aziendale, sebbene di proprietà di un’azienda relativamente giovane.
Il fatto che una piccola realtà di un’altrettanto piccola comunità possa ottenere risultati di questo livello solo grazie ad uno sponsor ricchissimo ha reso il club inviso alle tifoserie avversarie, ma in questo caso è tutto regolare.

Regola del 50 per cento +1: eccezioni

Non si può dire la stessa cosa del RB Leipzig, che nulla ha a che vedere con lo storico Lokomotive Lipsia, massima espressione calcistica locale ai tempi della Germania divisa.
L’attuale prima formazione di Lipsia è stata fondata nel 2009 a seguito del trasferimento dalla cittadina limitrofa di  Markranstädt della locale formazione di calcio, all’epoca relegata in quinta divisione.
Acquisita dalla RedBull e trasferita a Lipsia con nuovi colori e nuova denominazione, la squadra è rapidamente sbarcata in Bundesliga qualificandosi subito per la Uefa Champions League, per poi assestarsi stabilmente nelle prime posizioni del massimo torneo tedesco, anche grazie ad una politica di valorizzazione dei giovani in qualche modo meritoria.
Peccato che tutto si basi sull’aggiramento fraudolento della regola del 50%+1, e non solo.
Il RasenBallsport Leipzig si chiama così, tanto per dirne una, perché in Germania non sarebbe possibile includere uno sponsor nella denominazione ufficiale.
Anche questa regola è stata aggirata diciamo così, per “assonanza”, cioè scegliendo una denominazione che richiama la sigla RB dell’azienda proprietaria della squadra.
E che dire del logo del club? Anch’esso richiama esplicitamente quello dell’azienda, ed è anche straordinariamente simile a quello del Salisburgo, altra formazione dei proprietà della RedBull e militante nel massimo campionato austriaco (lasciamo al lettore il facile compito di cercare su internet un confronto visivo dei tre stemmi).
Questa situazione dovrebbe bastare a far venire l’orticaria a qualunque appassionato di sport, ma qualora non fosse così ricordiamo anche che le due compagini hanno partecipato, con il benestare della UEFA, alla stessa edizione della ex Coppa dei Campioni e che qualche anno fa un giocatore del Salisburgo ha persino indossato per errore la maglia del Lipsia in un incontro ufficiale.
Ma la trovata più raffinata del più odiato club tedesco è l’aggiramento della “50+1 Regel”.
Il ramo calcistico del RB Leipzig è una società separata, la RasenBallsport Leipzig GmbH. La società è posseduta al 99% da Red Bull e solo all’1% dal club stesso, il RasenBallsport Leipzig e.V., ma il club detiene il 100% dei diritti di voto.
Tuttavia sol 17 membri possono esercitare tale diritto e sono tutti impiegati o strettamente collegati alla Red Bull. I tifosi della RB Leipzig non possono in alcun modo diventare membri votanti.

Grafico sul numero di soci dei principali club tedeschiA parte questo caso più che imbarazzante ma che, fuor di ipocrisia, probabilmente qualunque tifoso medio italiano (e non solo) giustificherebbe qualora riguardasse il proprio club, c’è da dire che anche in Germania il dibattito sulla regola del 50%+1 è aperto.
I grandi club infatti temono di poter perdere in competitività rispetto ai top-club non tedeschi, tutti finanziati da multinazionali o fondi d’investimento che hanno freni più formali che reali ai propri investimenti.
Inoltre la Bundesliga palesa da anni un chiaro problema di competitività, sebbene gli stadi continuino a riempirsi.
Il Bayer Monaco, che è anche il club con il maggior numero di soci, ha sempre sottratto a suon di milioni di euro i migliori talenti delle consorelle e, fra il 2009 e il 2022, ha vinto il titolo nazionale per 11 volte su 13, una striscia da terzo mondo calcistico che fa perdere di interesse al massimo campionato tedesco.

Resta il fatto che la partecipazione attiva dei tifosi nella vita delle società è una realtà. Le associazioni di tifosi hanno strutture ben organizzate e svolgono ruoli anche di responsabilità, per esempio ogni dipartimento locale si occupa della vendita dei biglietti per le partite in trasferta e organizza gli spostamenti di gruppo, dialogando anche con i gruppi ultrà.
Al di là della differente legislatura, la realtà italiana è al momento un altro pianeta, perché questo tipo di mentalità è ancora ben lontana dal radicarsi.
Non sarà mai troppo tardi, però, per aprire la mente ad una nuova concezione dello sport.

Bibliografia

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